Vi segnaliamo: Come funziona il metodo di calcolo contributivo della pensione e in cosa differisce dal retributivo? Facciamo chiarezza su platea interessata, massimali, coefficienti di trasformazione, aliquote contributive e di rendimento

pensione fondoIl sistema contributivo di calcolo della pensione è il perno su cui ruota la riforma Dini del 1995. In questo regime, la pensione cui si ha diritto è strettamente collegata alla contribuzione versata nell’arco dell’intera vita lavorativa e non agli stipendi dell’ultimo periodo così come avveniva con il sistema retributivo. L’introduzione del nuovo meccanismo di calcolo era finalizzata al riequilibrio, una volta raggiunto il pieno regime, della spesa previdenziale, arrivata a livelli insostenibili nel periodo antecedente la riforma.

 

Lo spartiacque del 1995
A seguito della riforma Dini, il sistema di calcolo della pensione si differenzia in base all’anzianità maturata al 31 dicembre 1995:

per chi poteva contare su almeno 18 anni di contribuzione si applica il tradizionale criterio retributivo (ora limitato all’anzianità acquisita sino al 31 dicembre del 2011), legato agli stipendi degli ultimi anni. Ai fini della pensione, ogni anno di lavoro vale il 2%;
 per chi aveva meno di 18 anni di contributi, il criterio utilizzato è il misto. E cioè retributivo per l’anzianità maturata sino al 1995 e contributivo per i periodi di attività successivi;
per i nuovi assunti dal primo gennaio 1996, si applica invece il solo criterio contributivo.
Dall’1 gennaio 2012 (riforma Monti-Fornero), il sistema contributivo è stato poi esteso a tutti i lavoratori.

 Come funziona il metodo di calcolo contributivo della pensione?
Pur ricordando che, a prescindere dal metodo di calcolo applicato, il sistema pensionistico italiano si basa su un meccanismo a ripartizione (i contributi versati dai lavoratori attivi sono cioè usati per pagare le pensioni correnti, e non “accantonati” nell’attesa che il contribuente vada in pensione, da cui l’instaurarsi di un patto tra generazioni diverse e la necessità di introdurre l’obbligatorietà delle assicurazioni previdenziali e sociali), il funzionamento del metodo contributivo e il modo in cui i versamenti contributivi concorrono ad alimentare la sua posizione previdenziale possono – in via del tutto esemplificativa – essere paragonato a quello di un “libretto di risparmio”.

Nel momento in cui si inizia un’attività lavorativa, da lavoratore dipendente privato o pubblico, autonomo o libero professionista, vige l’obbligo di iscriversi a un ente pensionistico-previdenziale. All’ente a cui si è iscritti si corrispondono periodicamente dei contributi: si versa cioè, ogni mese o con cadenze diverse, una parte del proprio reddito/stipendio, alimentando per l’appunto la propria posizione personale (una verifica periodica dei contributi accreditati può essere realizzata attraverso il cosiddetto estratto conto contributivo). Sempre semplificando il concetto, alla fine dell’attività lavorativa e in ogni caso una volta soddisfatti i requisiti del caso, saranno proprio questi contributi, opportunamente “rivalutati”, a concorrere alla formazione della pensione del contribuente determinandone anche l’importo.

Si prenda ad esempio il caso di un lavoratore dipendente che, con il concorso dell’azienda, provvede ad accantonare annualmente il 33% del proprio stipendio: più precisamente, il 23,81% è a carico dell’azienda, mentre il restante 9,19% a carico del lavoratore; la quota a carico del dipendente sale al 10,19% per la sola fascia di retribuzione che supera i 47.379 euro annui per l’anno 2021 (l’1% aggiuntivo corrisposto mensilmente non dà in ogni caso luogo a pensione ma è di natura solidaristica). Per quanto riguarda i lavoratori autonomi, l’aliquota è fissata al 24% per gli artigiani, che pagano il 25% sulla quota di reddito compresa tra 47.379 e 78.956, massimale imponibile per il 2021; per i commercianti è pari invece al 24,09% fino a 47.379 euro, mentre sale al 25,09% sulla quota compresa tra 47.379 e 78.965 euro. Prevista in ogni caso una riduzione contributiva per coadiuvanti e coadiutori di età inferiore ai 21 anni.

Al capitale così versato viene applicato una sorta di interesse composto, a un tasso legato alla dinamica quinquennale del PIL e all’inflazione. Tanto che è possibile affermare, quindi, che più cresce l’Azienda Italia, maggiori saranno le rendite su cui si potrà contare. Alla data del pensionamento al montante contributivo, vale a dire la somma rivalutata dei versamenti effettuati, si applica un coefficiente di conversione che cresce con l’aumentare dell’età. Per il biennio 2021-2022, il coefficiente è a esempio pari al 4,186%, per chi chiede la rendita a 57 anni (perché divenuto invalido, ad esempio), mentre sale al 5,220% per chi resta al lavoro fino a 65 anni e al 5,575% se si decide di arrivare fino a 67 anni.

Ecco allora un esempio di calcolo riguardante un giovane entrato stabilmente nel mondo del lavoro a 27 anni d’età, con uno stipendio di 15mila euro. Il primo anno accantona 4.950 euro (il 33% di 15.000), il secondo anno ne accantonerà 5.115 (il 33% dello stipendio di 15.500 euro) e così via. Dopo 40 anni (a 67 anni di età) supponiamo che abbia accumulato 300.000 euro (valore già capitalizzato): il montante accumulato gli consentirà di ottenere una pensione annua di 16.725 euro (1.286 euro circa al mese al lordo dell’IRPEF).


Cos'è il massimale e come si applica?
Il sistema contributivo si differenzia da quello retributivo anche su un altro punto fondamentale: l’esistenza di un tetto contributivo-pensionabile, il cosiddetto massimale, vale a dire un limite oltre il quale non sono dovuti i contributi. Allo stesso tempo, la quota di retribuzione che eccede il tetto non darà alcun beneficio in termini di pensione. Il massimale viene annualmente rivalutato sulla base dell’indice Istat dei prezzi al consumo: il valore utile per l’anno in corso è pari a 103.055 euro. Questo significa, ad esempio, che la quota pensionistica di accantonamento riferita al 2021 non può superare i 33.974 euro per i dipendenti e i 25.290 e 25.383 euro gli artigiani e commercianti, rispettivamente il 33%, il 24% e il 24,09% del tetto.

Uno specifico massimale di reddito annuo entro il quale sono dovuti i contributi IVS sussiste poi per i lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali (commercianti e artigiani) e in possesso di contribuzione antecedente il 31 dicembre 1995: in questo caso, il massimale è pari al limite di retribuzione annua pensionabile maggiorato di due terzi. Il massimale di reddito annuo per il 2021 è pari a 78.965 euro (47.379 euro + 31.586 euro), ricavato dalla prima fascia del cosiddetto tetto di retribuzione pensionabile, maggiorato appunto di due terzi). Più precisamente, artigiani ed esercenti dovranno applicare il 24% (o il 24,09%) sul reddito d'impresa dichiarato al fisco sino a 47.379 euro e il 25% (o il 25,09%) sulla quota di reddito tra 47.143 e 78.965 euro.

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