Fonte: NursindSanità
Nelle piante organiche assente almeno un sesto delle unità necessarie. E oltre 3mila sono i sospesi ad oggi per mancata vaccinazione. È allarme da Nord a Sud di Ulisse Spinnato Vega
Uno spettro aleggia sulla tormentata discussione per il rinnovo del contratto della sanità. È la cronica carenza del personale nelle strutture pubbliche e private, che raggiunge livelli allarmanti nel caso degli infermieri. Saranno anche stati gli “eroi” della pandemia, ma lavorerebbero meglio e rischierebbero meno se nelle piante organiche non mancasse oltre un sesto delle unità previste.
I dati aggiornati della Fnopi (Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche) sono desolanti: parliamo di un buco di oltre 63mila professionisti rispetto ai circa 270mila attivi nel solo settore pubblico. Servono quasi 27mila infermieri in più al Nord, circa 13mila al Centro e oltre 23mila al Sud e nelle Isole. Oltre 33mila, in particolare, le assenze che riguardano le strutture territoriali. A queste cifre si aggiunge la platea, pur ridotta, dei sospesi per mancata vaccinazione. Alla data del 2 ottobre, sono 3.398 gli infermieri che non possono recarsi al lavoro perché non immunizzati per scelta, con la Lombardia che fa la parte del leone, sui circa 331mila impegnati nel pubblico e nel privato; quindi appena l’1% del totale. Peraltro, Fnopi riporta 688 provvedimenti di revoca della sospensione a beneficio di soggetti che nel frattempo hanno ottemperato all’obbligo vaccinale.
La proporzione tra infermieri e numero di pazienti assistiti dovrebbe comunque essere di uno ogni sei secondo i parametri medi nazionali e internazionali, mentre in Italia siamo a una media di 9,5 con punte drammatiche in alcune Regioni di 17-18 pazienti per infermiere. La necessità di rafforzare gli organici è stata peraltro messa in risalto da svariati studi e ricerche. Cifre da far tremare i polsi arrivano dal Rapporto Crea Sanità dell’Università di Tor Vergata, secondo cui la carenza in base ai parametri europei sarebbe di almeno 162.972 infermieri rispetto al complesso della popolazione e di 272.811 se rapportati alla coorte degli ultra 75enni. Il Censis, a sua volta, ha quantificato il buco in 57mila unità: tuttavia se ci confrontassimo con Paesi come il Regno Unito, per il Centro studi investimenti sociali servirebbero circa 300mila professionisti in più.
La situazione è ormai insostenibile in varie zone del Paese. All’Asl 1 di Napoli, per fare un esempio, mancano 40 infermieri e si sta tentando la strada del reclutamento anche da fuori regione, ma il rischio è che alcuni presidi, tra cui in primis il 118, non riescano molto presto ad assicurare i livelli minimi di assistenza. Da Sud a Nord, nell’area settentrionale della bassa modenese le strutture per anziani sono vicine al collasso. I posti accreditati nelle Cra (Casa residenza per anziani, ndr) sono 240, ma una novantina rimane vuota perché non può essere garantito il servizio: all’appello manca infatti circa la metà degli infermieri normalmente previsti. La carenza di personale è talmente preoccupante che all’Irccs Maugeri di Pavia hanno escogitato una trovata che ha fatto storcere il naso a molti: una ricompensa per coloro che riescono a reclutare un collega e portarlo a colloquio. Il premio per chi raccatta un infermiere è pari a 2mila euro (4mila euro per un medico).
Tra le proposte per alleviare il problema già nel breve termine, Fnopi fa sua quella del superamento del vincolo di esclusività che oggi caratterizza il rapporto di lavoro tra l’infermiere e il Servizio sanitario nazionale. Tuttavia, “a medio termine si dovrebbero ridefinire le regole di accreditamento delle strutture in relazione all’evoluzione dei bisogni dei cittadini” e bisogna “valorizzare la professione infermieristica nelle strutture socio sanitarie territoriali”, spiegano dalla Federazione. Invece, a lungo termine si punta ad incoraggiare il rientro dei circa 20mila infermieri italiani emigrati all’estero con incentivi di natura contrattuale ed economica.