Gentile direttore,
lancio un grido d’allarme a nome dei colleghi impegnati sul fronte del contagio, dalle aree rosse e dalle tre regioni più interessate dal virus. Gli infermieri sono allo stremo delle forze, si sentono abbandonati dallo Stato e dagli enti regionali. Dopo aver subìto direttive contrastanti, poco chiare, non tempestive, dopo essersi ammalati, contagiati e richiamati in servizio, alcuni sono anche stati ricoverati. Gli infermieri sono la categoria più colpita dal virus perché sono i più prossimi alle persone malate, 24 ore su 24, sempre.
La solidarietà tra il personale è massima, la disponibilità anche, nonostante le difficoltà nelle gestioni familiari, il riconoscimento dei malati sempre presente. Chi manca all’appello sono le istituzioni che ci lasciano al fronte, come carne da cannone, spesso senza presidi di difesa, costo umano da sacrificare sull’altare del servizio alla Nazione a cui è dedito il tanto vituperato pubblico dipendente. Dopo anni di blocco degli stipendi, di tagli ai posti letto, di invecchiamento e smantellamento delle dotazioni organiche, siamo ora i nuovi eroi della Patria. Ma non siamo eroi, siamo professionisti che fanno il loro lavoro, nelle corsie. Lontano dagli occhi e dal cuore delle direzioni regionali e dagli uffici ministeriali.
Perché c’è chi gestisce l’emergenza in videoconferenza, con lo smart working, e chi si trova a fare il lavoro sporco, il dirty working, nella stanza da letto a diretto contatto del malato. Ecco, noi siamo questi ultimi.
Per quanto si pensa di tenere in tiro questi infermieri che lavorano senza sosta? Quanto dureranno ancora se la previsione è di avere questa emergenza per qualche mese?
Mi stupisce oltremodo come il nostro lavoro non venga intercettato dai radar mediatici. Per i media e i politici i problemi sono altri: l’economia, il turismo, il campionato di calcio, le imprese, il lavoro privato, le famiglie (non quelle degli infermieri che sono obbligati a lavorare e a cui hanno revocato ferie e permessi), l’anno scolastico. Ma tutto questo non riparte se prima non si sconfigge il virus, se prima non ne usciamo presto e bene; e per farlo servono soprattutto gli infermieri, serve un Servizio sanitario efficiente con adeguate risorse. Serve motivarli, incentivarli cosa che da trent’anni non viene fatta, anzi.
Sento, quindi, forte il dovere, in questo momento, di ricordare alla parte datoriale e agli scienziati della contrattazione e della performance individuale quanto non hanno fatto per la categoria degli infermieri. Sento di dover marcare le differenze come Nursind, perché altri hanno voluto marcare le differenze in altri momenti e in altri luoghi (anche nei tribunali), tra firmatari e non firmatari di contratto. Nursind non ha firmato il contratto di lavoro perché nulla era previsto per gli infermieri.
Ho il dovere di ricordare che la preintesa è stata firmata il 23 febbraio 2018 giorno in cui gli infermieri erano in piazza Santi Apostoli a Roma a manifestare per un contratto dignitoso. Ho il dovere di ricordare che la nostra richiesta di estendere l’indennità di area critica a tutto il personale del DEA non ha trovato accoglimento.
Ho il dovere di ricordare ai firmatari e al comitato di settore e ai consulenti di parte datoriale che hanno negato il diritto alla mensa ai turnisti e che hanno reso più stringenti le indennità sempre per i turnisti. Gli stessi turnisti a cui oggi si chiede di lavorare 14 e più ore al giorno vivendo dentro gli ospedali. Sono state libere scelte al tavolo contrattuale e deliberazioni nell’atto di indirizzo. Scelte a cui Nursind non si è piegato perché, l’abbiamo sempre detto, la dignità del nostro lavoro non è negoziabile. Quella dignità che oggi aiuta il sistema a sconfiggere la prima epidemia all’epoca della globalizzazione.
Non hanno forse ragione gli infermieri a lamentarsi per come sono stati trattati? Perché nessuno ha il coraggio di prendersi la responsabilità di aver ignorato le nostre richieste difendendo le scelte fatte allora? Perché i nostri (e di molti altri) allarmi sul definanziamento del Servizio sanitario nazionale, sulle dotazioni basate sul minutaggio (Nursind ha dovuto finanziare un apposto studio per dimostrare che la scienza andava nel verso opposto a dove ci stavate portando), sui vincoli economici alle assunzioni, sull’invecchiamento delle dotazioni organiche, sul demansionamento, sulle inabilità e sull’usura del lavoro, sulla necessità di evolvere le competenze, sulla valorizzazione della professione, non sono stati ascoltati?
Questa esperienza segnerà la vita del nostro Servizio nazionale ma segnerà più di tutto la vita degli infermieri che oggi mettono a prova tutta la loro professionalità e competenza come mai era successo prima. Questo segno sarà riconosciuto? Se non ora quando?
Finita questa emergenza si tornerà anche a parlare di contratto, allora vedremo se le nostre richieste saranno ancora una volta ignorate.
Andrea Bottega
Segretario nazionale Nursind
Tratto da Quotidianosanità.it